Le centrali idroelettriche in Ossola e i villaggi sommersi

I villaggi sommersi della Val d'Ossola

Le centrali idroelettriche in Ossola e i villaggi sommersi

L’Ossola ha un profondo legame con l’acqua e con l’energia idroelettrica, che fu fondamentale per lo sviluppo industriale del secolo scorso. Ecco la storia delle centrali idroelettriche dell’Ossola e dei suoi villaggi sommersi.


Una delle cose che sorprende della Val d’Ossola è il suo forte legame con l’acqua, un elemento che non salta subito alla mente parlando di un territorio montano.
Eppure, l’acqua ha avuto un ruolo davvero fondamentale per questa zona del Piemonte che si insinua nel territorio elvetico.
Confine naturale tra le due nazioni sono, infatti, le Alpi Lepontine, disseminate di laghi, ghiacciai, torrenti e fiumi le cui acque originano terme e persino fonti di acqua minerale e che, grazie ai salti e alle pendenze del terreno, ben si prestano alla produzione di energia.
Venendo in Ossola vi capiterà, quindi, spesso di incontrare imponenti dighe e centrali idroelettriche, ed è proprio di queste e degli effetti che hanno avuto sul territorio che vi parlerò in questo articolo.

 

Lo sviluppo industriale in Val d’Ossola

La ricchezza d’acqua in Val d’Ossola ha determinato parte della sua storia recente, influenzandone lo sviluppo da un punto di vista economico, culturale, architettonico e paesaggistico.
All’inizio del secolo scorso, infatti, lo sfruttamento dell’energia idroelettrica ha avuto un ruolo primario nel processo di industrializzazione, tanto che l’acqua che l’alimenta veniva definita “carbone bianco”.

I primi a sfruttare la potenza dell’acqua furono i Ceretti, una famiglia di industriali di Villadossola che utilizzarono le acque del torrente Ovesca per azionare le macchine delle loro acciaierie. Siamo nel 1830.
Nel tempo si scoprì che la zona migliore per lo sfruttamento idrico era la Val Formazza, ricca di laghi, ghiacciai e forti dislivelli ma poco produttiva proprio a causa dell’alta quota e delle conformazione del territorio.
A scoprire, e sfruttare, le potenzialità di quest’area fu un ingegnere milanese, Ettore Conti, che nel 1906, dopo aver visitato l’Ossola, acquistò dallo Stato la concessione per lo sfruttamento delle acque del fiume Toce e dei suoi affluenti e decise di fondare le omonime Imprese Elettriche Conti. Con lui iniziò, dunque, la cosiddetta “colonizzazione idroelettrica” dell’Ossola.
Insieme a suo cognato, il noto architetto milanese Paolo Portaluppi, diede inizio alla costruzione delle prime centrali idroelettriche, disseminate prevalentemente nei territori della Val Formazza e della Valle Antigorio.
I lavori furono ciclopici, soprattutto considerando gli anni in cui vennero eseguiti. Furono perforate montagne, costruite strade in territori impervi e ad alta quota, sbarrate intere vallate con la costruzione di impressionanti dighe, cancellati pascoli e alpeggi e perfino sommersi interi villaggi.

Il paesaggio alpino fu drasticamente modificato dall’intervento umano, in nome dello sviluppo industriale e del benessere economico.

 

Una storia di innovazione e sviluppo, ma anche di grande sacrificio, che può suonare sotto certi aspetti drammatica, per quanto abbia portato un certo livello di benessere economico e culturale, sia a livello locale che nazionale. Le dighe e le centrali idroelettriche diedero lavoro a moltissimi abitanti della zona, e tutt’ora rappresentano una realtà lavorativa per molte persone. Furono migliorate le vie di transito, prima mulattiere o sentieri anche pericolosi, rendendo più facile l’accesso e quindi anche lo scambio di merci e la comunicazione fra i vari villaggi, migliorando così le condizioni di vita di molti abitanti che entrarono nel “nuovo tempo”.
Insomma, la colonizzazione idroelettrica ha trasformato, nel bene e nel male, un territorio difficile e quasi dimenticato da Dio, nel bacino elettrico più importante del nord Italia.

 

Le centrali idroelettriche in Val d’Ossola

Quando si pensa a questo tipo di architetture industriali vengono subito alla mente gli “ecomostri” che siamo tristemente abituati a vedere un po’ in tutta Italia: ferro, cemento, fumi neri, macchinari spaventosi al centro di lande desolate, brutalmente sottratte alla natura cui appartenevano.
In Ossola, invece, per quanto questi lavori abbiano irrimediabilmente modificato il paesaggio alpino, bisogna ammettere che l’impatto è stato meno drammatico e sgradevole di quanto si possa pensare.

A livello paesaggistico, ad esempio, sono stati creati laghi meravigliosi dalle acque cristalline, alcuni creati dal nulla, grazie alla costruzione delle grandi dighe, altri nati dalle acque di bacini preesistenti. E anche dal punto di vista architettonico sono state create opere memorabili e di grande fascino, tanto che oggi vengono organizzati mostre e tour per farle conoscere al pubblico (peccato capiti solo saltuariamente).

Di questo bisogna ringraziare gli architetti che hanno progettato tali grandiose strutture, primo fra tutti l’architetto Portaluppi, cui accennavo prima.
I milanesi come me lo conosceranno sicuramente per aver progettato alcuni degli edifici più belli della città: Villa Necchi Campiglio, il Palnetario Hoepli, Casa Atellani e il meraviglioso Albergo Diurno Venezia sono solo alcuni esempi.
In Ossola, invece, il suo genio e il suo estro furono adoperati per la costruzione delle centrali idroelettriche.
A lui si devono diversi di questi colossi industriali: la prima centrale fu quella di Verampio che, con le sue torri, le finestre ogivali e bifore, richiama un po’ il gusto medievale. Seguirono quella di Crego, Valdo, Crevoladossola, dalla caratteristica torre a pagoda, e infine quella di Cadarese.

Furono tutte realizzate tra gli anni ’20 e ’30 del 900, utilizzando materiali locali come il granito e le beole e, grazie all’inserimento di elementi e decorazioni tipici dello stile Art Decò a lui tanto caro, più che tristi fabbriche, sembrano eleganti dimore private.

Se dunque voleste progettare un itinerario in Val d’Ossola, vi consiglio vivamente di segnarvi queste costruzioni su una mappa e di visitarne almeno qualcuna: non sarà possibile entrare, ma ne rimarrete comunque stupiti.

 

I villaggi sommersi della Val d’Ossola

Il progresso si trascina sempre dietro anche dei risvolti negativi e, in due casi in particolare, il prezzo dell’innovazione è stato davvero salato. Mi riferisco alla sorte capitata ai villaggi di Agaro e di Morasco.

Ubicati rispettivamente in Valle Antigorio e in Val Formazza, questi villaggi erano da secoli casa di due comunità di coloni Walser, la popolazione originaria del Canton Vallese che si insediò nei territori dell’Ossola durante un processo di migrazione avvenuta tra il XII e il XIII secolo.

Agaro ospitava circa un centinaio di persone, una comunità molto stretta e chiusa a causa delle difficoltà di collegamento con gli altri paesi. Aveva un proprio sindaco, una chiesa e persino una scuola; i suoi abitanti lavoravano la terra e accudivano agli animali, vivendo di ciò che riuscivano a produrre autonomamente.
Morasco, invece, era ormai un paese praticamente disabitato in inverno a causa delle dure condizioni climatiche (pare fossero rimaste solo una ventina di abitanti), che si ripopolava solo in estate, grazie all’abbondanza dei suoi pascoli.

 

Rispettivamente nel 1936 e nel 1940, la Edison decise di sfruttare le valli che ospitavamo gli insediamenti di Agaro e Morasco, per la costruzione di due dighe.
Per far spazio agli invasi e agli sbarramenti gli abitanti furono costretti a lasciare le proprie case; in cambio del loro sacrificio ricevettero degli indennizzi che gli consentirono di trasferirsi in altri paesi della zona e, una volta disabitati, i due villaggi vennero sommersi dalle acque.
Le antiche valli si trasformarono così in laghi azzurri, sotto le cui acque tranquille riposano queste piccole Atlantidi alpine, ormai invisibili se non nei momenti di svuotamento dei bacini a fine di manutenzione.
Quelle mura sommerse custodiscono il passato e il ricordo di antiche comunità che hanno fatto la storia di questo territorio e che, con il loro sacrificio, hanno permesso lo sviluppo economico di un intero Paese.

Per ricordare il villaggio di Morasco e la vita di alcuni operai morti durante la costruzione della diga, la Edison fece costruire una piccola chiesetta su una collina nei pressi di Riale. Se vi capitasse di fare una gita alla diga, un percorso bellissimo che vi consiglio di fare, fermatevi qui e dedicate un momento a queste persone la cui vita è, ormai, quasi dimenticata.

 


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